INTERSEZIONI \ ZERO Una mostra manifesto per il lancio del progetto nazionale INTERSEZIONI

Come ricordato già in questa sede, la ricorrenza nazionale di Buongiorno ceramica! è stata l’occasione per lanciare, da Gubbio e i suoi tre musei principali, il progetto nazionale INTERSEZIONI, con una mostra che vuole essere un esempio del dialogo tra collezioni permanenti e ceramica contemporanea. L’alto numero di artisti coinvolti e di opere esposte rischiano però di non rendere immediatamente comprensibile l’approccio seguito nella loro scelta. Quelle che seguono sono quindi alcune riflessioni condivise con il pubblico in occasione della vernice del 19 maggio scorso.

PAOLO CONDURSO, Bottiglia “babbaluto“, Seminara (RC), metà XX sec.

Visitando questa mostra potremmo chiederci cosa lega un artigiano che, a metà del secolo scorso produceva ceramiche tradizionali a Seminara Calabra e, nonostante questa posizione decentrata, è riuscito ad ottenere l’apprezzamento di Picasso ed essere presente, con alcune sue opere, al Museo Internazionale delle ceramiche di Faenza; cosa lo lega ad una giovane perfezionatasi al Politecnico di Milano e nota per aver sperimentato delle terre diverse con inclusi di alghe che rendono più leggero il materiale che utilizza; che legame possiamo trovare quindi tra queste opere e gli elementi sonori che, appoggiati su un fonte battesimale, evocano il soffio divino di tradizione biblica, quel soffio che, rivolto sull’argilla inerte, le ha dato vita.

LUCA SCHIAVON, Elementi per risonanze, 2013.
TONI BELLUCCI, Cartegloria, 2019 -2023

Passando poi agli artisti eugubini presenti in mostra, potremmo trovare le stesse difficoltà nel ritrovare un filo rosso che leghi le Cartegloria di Toni Bellucci, in cui il testo della liturgia è sostituito da fusioni alchemiche; un filo, dicevamo, che arrivi alle citazioni della pittura rinascimentale di Paolo Biagioli e alle figure di Gabriele Tognoloni in cui opere e ombre proiettate sono tracce di un percorso di smaterializzazione dell’opera.

PAOLO BIAGIOLI, Tutto oro, 2022
GABRIELE TOGNOLONI, Figura, 2022

In sintesi, in mostra c’è una scelta di opere e artisti che va dagli anni 30 del ‘900 – con la Maternitè di Renè Daemen per la manifattura lussemburghese di Villeroy & Boch – ai giorni d’oggi; il quadro geografico coinvolto tocca diversi centri di tradizione storica della ceramica, dalla città ligure di Albissola, a Nove e Bassano del Grappa, in Veneto, per arrivare alla già ricordata Seminara e poi Caltagirone, in Sicilia; passiamo per Faenza, ovviamente, e diversi centri umbri: Gualdo Tadino, Deruta, Gubbio. Altri artisti provenienti da altri centri di produzione storica della ceramica saranno inseriti nella seconda tappa del progetto. Abbiamo quindi un ampio arco cronologico, geografico e soprattutto tipologico di opere coinvolte: cercare un trait d’union non può certamente essere semplice se non a rischio di essere riduttivi.

ANNALIA AMEDEO, Angeliche farfalle #1, 2017

Ci appoggiamo quindi, in prima battuta, alle riflessioni di Marcella Anglani riportate nel catalogo della storica mostra Arte torna arte del 2012. Commentando opere contemporanee di indiscusso valore presentate nella Galleria dell’accademia di Firenze, la studiosa individuava numerosi possibili agganci tra antico e riletture o citazioni moderne. Queste spaziavano dal riconoscimento del valore storico condivido, alla loro canonizzazione, potremmo quasi dire, fino ad arrivare all’irrisione e alla dissacrazione iconoclasta. Parlando quindi alla mostra che presentiamo oggi come non citare, al riguardo, il voluto anacronismo presente nelle opere di TE. RA. design studio, in cui le lucerne romane sono affiancate ad altre sculture plastiche a forma di bassotto o formichieri, animali sconosciuti al momento della realizzazione delle opere citate?

TE. RA. design studio, Lux Animalis, 2023

Stesa leggera ironia nei piccoli “ex voto” di Paolo Demo, in cui all’argilla antica si affiancano robot dai colori industriali spiazzanti, dal bianco lucido al rosa acceso.

PAOLO DEMO, R4Robot-G MINI, 2021

In sintesi dobbiamo parlare di citazioni di materiali, temi, destinazioni d’uso – gli albarelli antichi e quelli contemporanei di Mirco Denicolò affiancati – che vengono riprese in ottica di affinità o contrasto. Abbiamo quindi una riflessione sul valore che attribuiamo agli oggetti e alle relazioni umane, riflessione sollevata dalla performance di arte relazionale che Formisano ha condotto all’Auberge de France a Rodi, il risultato della quale è esposto nel settore numismatico del palazzo dei consoli.

MIRCO DENICOLO’, Albarelli, 2018.

Abbiamo poi una pensosa espressione del dolore umano in Corporeitas, di Mirna Manni, opera accostata ad un affresco con il compianto sul Cristo morto al museo diocesano; la stessa tradizione icnografica secolare viene quindi coinvolta, reintegrando, con il teschio di Andrea Salvatori, l’immagine ai piedi delle croci medievali dipinte. Immagini profondamente radicate nella nostra memoria che vengono riproposte e rilette in chiave contemporanee.

MIRNA MANNI, Corporeitas, 2017

Volendo tornare poi a contributi critici ci piace ricordare in questa sede il recentissimo saggio di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena e storico dell’arte come formazione. Nel suo saggio sul patrimonio culturale evidenzia la natura stratificata del bene culturale, ad esempio le tracce del tempo e delle vicissitudini storiche vissute dall’opera che, talvolta, rischiano di essere rimosse in occasione di restauri invasivi del bene in oggetto. Le intersezioni presentate in questa occasione vorrebbero essere in primo luogo uno strato ulteriore, che si affianca e non si sovrappone o si sovrascrive agli oggetti e alle opere scelte. Ma al tempo stesso vorrebbe essere un’opportunità per guardare con maggiore attenzione agli oggetti stessi, togliendo quel velo di disinteresse che noi tutti, possibili visitatori frettolosi di un museo, rischiamo di lasciar cadere sulle opere che passano sotto il nostro sguardo distratto.

Testo a cura di Domenico Iaracà.


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