In occasione dell’annuale festa della ceramica di Bolesławiec, in Polonia, si è tenuta una conferenza internazionale che ha coinvolto alcuni centri facenti parte della Strada europea della ceramica. La conferenza è stata quindi occasione di un intervento di chi scrive. Il pubblico internazionale presente alla conferenza spiega le precisazioni geografiche e di inquadramento storico forse superflue a chi conosce più approfonditamente il quadro italiano.
Qui sotto il testo dell’intervento.
Sono indubbiamente molte le modalità in cui si può procedere alla protezione del patrimonio culturale. Lascio ad altri il compito di parlare, ad esempio, delle normative al riguardo, locali o internazionali, e concentro la mia attenzione su un aspetto molto particolare. Se protezione significa far continuare a vivere un fenomeno, credo significhi anche indagare quanto e in che modo questo patrimonio sia ancora vitale e capace di parlare al pubblico di oggi.
Per questo il tema della mia presentazione è incentrato su quello che alcuni artisti contemporanei ne riportano nella loro ricerca.
Patrimonio culturale immateriale sono certamente i miti sulla nascita di Roma o quelli sulla città di Napoli che l’artista sudafricano William Kentridge ripropone: la prima immagine rappresenta la lupa di Roma, in un grande murales lungo il fiume Tevere presentato al pubblico nel 2016.

Nella successiva abbiamo il mosaico in una stazione della metropolitana di Napoli realizzato nel 2012. In entrambi gli esempi l’artista sceglie un patrimonio culturale condiviso come base delle sue opere.

Un altro grande centro culturale italiano è stato la città di Venezia. A questa guarda Kiki Smith con la sua opera Homespoom tales presentata per la prima volta nella fondazione Querini Stampalia della stessa città nel 2015.

Le sue sculture in porcellana bianca riprendono i ritratti delle molte donne che hanno abitato il palazzo e le presenta in atteggiamenti quotidiani. Ecco che i pittori del settecento veneziano, il Longhi in particolare, tornano vivi grazie ad un’artista contemporanea.
Come ha avuto modo di dire Marcella Anglani nel catalogo della importante mostra fiorentina Arte torna arte dedicata alle citazioni di Michelangelo e del Rinascimento italiano in genere, le ragioni di queste citazioni sono diverse, dall’omaggio all’irrisione, ma avremo modo di parlare ancora di questo tema.
Ci spostiamo quindi al mondo della ceramica contemporanea italiana che ci interessa più da vicino in occasione di questo seminario: l’artista da cui vorrei partire è Pol, alias Paolo Polloniato. È nato nel 1979 nella regione Veneto. Qui molte famiglie nobili di Venezia avevano i possedimenti di campagna e anche le attività artistiche sono in parte legate a questa città. Alcune di queste vengono riproposte nelle sue opere. Ma partiamo dal suo omaggio a Canova e alle sue sculture. Nel 2013 Pol realizza Hodierna che viene presentata al 58esimo concorso di Faenza. Nella foto alcuni busti in gesso realizzati da Canova all’inizio del XIX secolo e, in primo piano, l’opera di Pol.

Qui il calco di una scultura di Canova ha una maschera antigas per proteggersi dallo smog che ci uccide un po’ ogni giorno. Materiale utilizzato per la sua scultura è la ceramica che, nella sua area di provenienza, ha una tradizione secolare. La ceramica può quindi essere ancora un materiale artistico quando parla di opere in altri materiali e ovviamente quando tratta della ceramica stessa e della sua crisi. Nel 2018 infatti l’opera che lo stesso Pol presenta al sessantesimo anniversario della nascita del concorso di Faenza è Pieni a rendere, opera che vediamo nella foto.

Per la produzione di quest’opera Pol ha utilizzato un tavolo da lavoro contemporaneo e stampi dell’importante manifattura ceramica Antonibon, una fabbrica già attiva dalla fine del 1600 e che a metà 1700 inizia la sua produzione in porcellana. Cosa resta di questa tradizione? Il patrimonio culturale è ancora vivo? La risposta di Pol è chiara: piatti, tazze e zuppiere sono formati da scarti di produzione; i contenitori sono pieni degli scarti stessi – pieni, come dice il titolo dell’opera – e non possono quindi essere utilizzati.

Se il messaggio di Pol è affidato alla interpretazione dell’opera, più esplicito è quello di Roberto Renzi che, sempre nella stessa zona, realizza un’opera in cui tre grandi zuppiere collassano progressivamente su se stesse. Il titolo dell’opera è Xdence [leggasi Decadence n.d.r].
Un altro artista su cui vorrei attirare la vostra attenzione è Mirco Denicolò, nato nel 1960 poco lontano da Faenza dove ora lavora. Se gli artisti visti in precedenza si occupavano prevalentemente di scultura, la sua ricerca artistica dà particolare spazio alle immagini, sia quelle riportate su ceramica, sia quelle di video che accompagnano le sue installazioni. È un repertorio iconografico decisamente vasto, quello a cui lui attinge, dalla filmografia del secolo scorso alla grafica giapponese e, ovviamente, la millenaria tradizione ceramica, citata nelle forme e nei decori. La sua non è la riproposizione storicistica di capolavori del rinascimento, come è avvenuto in diversi centri, nella regione centroitaliana dell’Umbria in particolare. I suoi sono accostamenti innovativi in cui epoche diverse si affiancano e sovrappongono, strato su strato.
Il richiamo che ritroviamo nella prima opera in esame è della ceramica medievale, della città di Orvieto in particolare. Da un piatto di questa città proviene l’immagine del re, in alto, mentre il lupo è una sua creazione.

Mirco Denicolò, Il re e il lupo, 2021
In un percorso talvolta onirico, indubbiamente sempre evocativo, Denicolò racconta storie in cui sfilano emozioni personali e riflessioni universali e, per esprimere tutto ciò, attinge ad un repertorio storicamente individuabile dandogli la possibilità che questo sia ancora vitale e capace di parlare a tutti noi. Anche in lui non mancano, però, i segni di un riutilizzo innovativo del passato. Per mostrare quanto appena detto guardiamo la seconda delle sue opere selezionata per questo intervento.

Recentemente esposta al Museo Gianetti di Saronno, vicino a Milano, l’opera cita una piccola statuina in porcellana (la collezione storica del museo è infatti dedicata ad una preziosa collezione di oggetti in questo materiale). L’opera di Denicolò e la statuina che riprende sono poi entrambe citazioni della commedia dell’arte e delle sue famose maschere, come pulcinella. Ma se osserviamo bene, la coppa utilizzata come base per la decorazione è chiusa e, come già per Pol, non utilizzabile come contenitore. L’artista ci parla di una tradizione ormai decaduta, come Pol e Renzi, o forse ci suggerisce che certi pezzi sono stati solo oggetti di lusso e privi di un utilizzo reale? L’artista non risponde ma ci invita a considerare il passato con un occhio meno distratto.
Se tradizione e innovazione nell’allestimento appena citato sono rappresentate da due opere diverse, un’esperienza del tutto innovativa è quella di RefleX che ha visto affiancate le sculture realizzate, con il supporto di una stampante 3D, da Paolo Porelli e l’intervento cromatico di Maurizio Tittarelli Rubboli. Riprendendo una prassi esecutiva diffusa nel rinascimento italiano, l’imponente installazione di circa trenta sculture porta una doppia firma in cui si distinguono le due figure professionali coinvolte: “Paolo Porelli fece, Maurizio Tittarelli Rubboli iridiò”. Quasi a voler rappresentare in una sola opera il dialogo tra patrimonio culturale e innovazione tecnologica applicata alla ricerca artistica, questo progetto ha dato vita ad un’installazione dalle radici profondamente calate nella più alta tradizione artistica italiana, ma con uno sguardo aperto alle tecnologie attualmente più innovative e ricche di sviluppi.

In un Paese come l’Italia parlare di patrimonio culturale significa certamente parlare anche di antichità classiche, greche e romane. Tra gli artisti che potrei presentare, qui mi piace partire da Giuseppe Pirozzi. A lungo insegnante di scultura all’Accademia di belle arti di Napoli, ha utilizzato diversi linguaggi artistici, dal figurativo fino all’astrazione. Tra le sue opere, quella su cui voglio soffermarmi in particolare è Edicola del 2015.

Il titolo rimanda ai piccoli templi, tra destinazione funeraria privata e sacra. Qui l’immagine del viso – defunto o divinità, non possiamo dirlo – ripropone una bellezza classica. Fianco a fianco al viso compaiono numeri e lettere, in un accostamento già utilizzato dalle avanguardie cubiste e dadaiste dell’inizio del ‘900. Il tema del lutto, della riproposizione del ricordo degli amati scomparsi che diventano simili a divinità si mostra così lo stesso nonostante lo scorrere dei secoli.
Il riutilizzo e la citazione del patrimonio culturale per la trasmissione di messaggi e contenuti contemporanei non ha nessun limite. Le opere citate provengono dal passato più lontano così come da quello più recente e vengono usate tutte le tecniche dell’arte contemporanea.
Le scene di vita presentate nei rilievi di Angelo Biancini a metà del secolo scorso sono state scelte da Andrea Meneghetti in un’opera non ancora realizzata e di cui qui presentiamo il progetto.


La ceramica è sempre il supporto, ma Meneghetti sceglie mattonelle industriali lavorare al laser, come nei Cubi già presentati in diverse mostre e concorsi.

Andrea Meneghetti, Cubo, 2020
Abbiamo visto opere di scultura e pittura ceramica. Proseguiamo con un’opera in cui la ceramica è usata in una performance di arte relazionale, Thesauros di Enzo Formisano. Il primo suggerimento deriva dalla abitudine di nascondere oggetti preziosi, soprattutto monete, in vasi in ceramica e seppellirli in momenti di pericolo, come durante delle guerre. Alla fine della guerra o del pericolo questi vasi e il loro contenuto venivano recuperati. Ma non sempre il proprietario riusciva a farlo – non possiamo dirne il motivo – e depositi di monete sono stati trovati in diverse occasioni in tutta Europa.

Thesauros è anche i nome della parte del tempio in cui pellegrini di tutto il mediterraneo lasciavano offerte alla divinità, in Grecia come in Italia, in Egitto come in Siria o sulle coste del mar Nero e in Spagna.
Durante una residenza per artisti organizzata nell’autunno 2021, Formisano ha trascorso due mesi all’Auberge de France a Rodi, in Grecia, e ha riflettuto su quale potesse essere la ricchezza, il tesoro che i turisti potrebbero portare in quest’isola, così come nella città di Firenze dove l’artista vive. Forse non oggetti materiali, ma il rapporto tra persone, un incontro e un confronto. Mezzo del confronto e pretesto per l’incontro tra turista a artista è la realizzazione di un tesoro monetale come vediamo nel video.
www.facebook.com/offic.lab/videos/375129711035355
Come visto nel video le monete non sono però di metallo ma grani di argilla in cui artista e turisti lasciano le proprie impronte digitali, qualcosa di estremamente personale. In conclusione, in tutti gli esempi citati il patrimonio culturale è un linguaggio, figurativo e concettuale, che gli artisti utilizzano ancora per esprime la propria idea. Non ci sono limiti cronologici o di tecnica utilizzata per questo processo comunicativo. E, così come per una lingua, non c’è bisogno di protezione fino a che questa è viva e capace di trasmettere messaggi.
Testo a cura di Domenico Iaracà.
Contemporary Italian Ceramic – CiC è il primo blog di ceramica diffuso, con uno sguardo
alle tradizioni ma soprattutto alle nuove correnti artistiche del panorama Italiano e non.