Sotto lo sguardo sapiente di Minerva “dai lucenti occhi di civetta”, si inaugura il 7 giugno alle ore 17.00 nella Casina delle Civette, uno dei luoghi più affascinanti di Roma, la personale delle opere in ceramica, dei disegni su carta di Amalfi e delle pitture di Clara Garesio.
La presenza del mito del resto si presta particolarmente bene alla rappresentazione di una poliedricità di interpretazioni legate alla natura dicotomica del medium, oscillante fin dall’origine tra dimensione sacra e domestica, tra il mondo delle idee e quello delle cose.
La mostra curata da Lisa Hockemeyer, espone gli ultimi risultati di una vita artistica affidata allo studio, alla sperimentazione e alla pratica di quest’arte alchemica che pare individui qui, nei musei di Villa Torlonia, un “luogo dell’anima” che ci appare come una Camera delle Meraviglie, una Wunderkammer, dove tra Mirabilia e Naturalia, Ceramiche e Carte l’artista rappresenta il suo cammino verso la “conoscenza” ottenuta con l’Arte della Terra.
La Garesio, provvista di una memoria archetipa che rimanda con le sue opere agli emblema femminili fatti di forme circolari e concentriche, ripercorre un’antica trama che si sviluppa attraverso una narrazione personale ed attualissima che con la ceramica, le pitture e i disegni sembra voler aderire alle invocazioni verso la tutela della Terra celebrando la Natura.
Nata nel 1938 a Torino, negli anni cinquanta è partecipe di un clima di rinnovamento e di sperimentazione nell’ambito del settore ceramico che la porta dall’Istituto d’Arte di Faenza (diretto da Tonito Emiliani, sotto la guida di Anselmo Bucci, Giuseppe Liverani e Angelo Biancini) dove vince nel 1956 il Primo Premio Faenza al XIV Concorso “sez.studenti” ad insegnare alla Scuola d’Arte di Isernia diretta da Giorgio Saturni che già negli anni quaranta, alla ricerca di nuovi linguaggi, aveva iniziato a Castelli (TE) con Serafino Mattucci e Giorgio Baitello, un percorso di rinnovamento della ceramica castellana. Nel piccolo borgo abruzzese partecipa al Concorso Nazionale della Ceramica, qui si ritrova spesso a venire d’estate diventando testimone di quel cenacolo culturale, alimentato dalla presenza di Mattucci e Visani, che ospitò i più grandi protagonisti della ceramica dell’epoca. Sul finire degli anni sessanta vince a Castelli il concorso a cattedra dove sceglie, per amore, di insegnare all’Istituto per l’Industria e l’Artigianato della Porcellana di Napoli diretto da Giorgio Baitello.
Siamo agli inizi degli anni sessanta e si respira un clima di sperimentazione e innovazione per le cosiddette “arti applicate”, la ceramica si avvia verso l’informale con un’attenzione maggiore più alla plasticità della materia che alla pittura, il ’68 è alle porte e Clara Garesio, bravissima pittrice – ceramista – donna, respinge una mentalità che l’avrebbe volentieri confinata nei laboratori di decorazione ceramica e mentre insegna, diventa moglie e madre, Clara rallenta il percorso espositivo, ma sedimenta e metabolizza, elaborando un’esperienza che si sublima in un processo di trasformazione in cui Fiorire è il fine (2016, Fig. 1).
Figura 1 Fiorire è il fine, 2016
Oggi, in questa mostra “concepita come un cabinet de curiosités, la Garesio si conferma essere tra i grandi e ultimi esponenti della gloriosa cultura ceramica” (Lisa Hockemeyer) e ci dimostra di essere un trait d’union tra il moderno e il contemporaneo che la porta a riappropriarsi ad alta voce del colore, del segno e della linea mentre si volge alla scoperta di altre terre e di altri materiali che unifica tra loro aderendo a istanze culturali attualissime.
Così “La volontà di affiancare tra loro oggetti assortiti, realizzati in materiali disparati e utilizzando numerose tecniche con svariati fini espressivi, fornisce la chiave di lettura” (Lisa Hockemeyer) per conoscere un’artista con una mentalità da pura maiolicara che avvicina la precisione del segno alla minuziosità della porcellana, ritrovando nel colore di materia e nelle forme colorate, nella pittura e nel segno, una dimensione artistica personale che riesce a riallacciare i nodi con una storia della ceramica italiana (della maiolica) interrotta dalla spinta post moderna di quest’ultima verso la scultura.
Nell’esposizione la ceramista ci presenta i suoi disegni (Fig.2) “lì dove non le è concessa quell’operatività ampia e articolata che impone la ceramica…nei quali convoglia il flusso incessante di idee che si dispiega nella mente” (Francesca Pirozzi), ma anche Taccuini (2007, Fig.3 ) e Carteggi (2018, Fig.4) fatti di “terra”, come riflessioni intime di donna impresse da un medium che come la vita delle donne è fatto di attese, di continue scoperte e di accettazione dell’imprevisto.
Figura 2 disegni
Figura 3 Taccuini, 2007
Figura 4 Carteggi, 2018
L’identificazione col medium diventa assoluta e la porta a riflessioni protese alla ricerca di quella “pietra filosofale” che può realizzarsi interiormente solo attraverso il sapere e il saper fare, solo conoscendo approfonditamente l’uso di smalti colorati, di lustri e cristalline di cui l’artista ci dimostra di avere estrema padronanza.
Sorprende poi, come nell’attualità espressiva permangano alcune considerazioni storiche echeggianti su queste opere preziose e colorate, nate da una “materia opaca, umile, scura come l’ombra” che diventano portatrici di quel credo artistico della tradizione maiolicara italiana espresso sul finire degli anni cinquanta da Guido Gambone, che sosteneva che “la ceramica deve restare ceramica e non tramutarsi in scultura“ e che “una ciotola deve restare una ciotola, un vaso deve restare un vaso” anche se solo idealmente, senza più funzione, segnando, in quegli anni di formazione della Garesio, una distinzione tra ceramisti-puri e artisti prestati alla ceramica, rivendicando come alla base di un’opera d’arte ceramica ci dovesse essere la conoscenza del mestiere fatto con le mani e la conoscenza dei “segreti di dett’arte” (Cipriano Piccol Passo).
Una lezione che ritroviamo tutta nelle opere della nostra ceramista che con le mani “crea instancabilmente da una vita, avendone a tal punto consapevolezza e gratitudine d’averle assunte oramai a icona personale, oltre che come elemento simbolico nelle sue opere-tributo al lavoro delle donne (In Women’s hands)” (Francesca Pirozzi). Così se il segno, la linea e il colore, ottenuti attraverso una lunga esperienza del fare, la riconducono verso quel mondo dalle forme domestiche, queste vengono sacralizzate e ricondotte ad archetipi femminili che si uniscono a quel connaturato principio trasmutativo e trascendentale della ceramica che da materia grezza diventa manufatto artistico.
Seguendo così le leggi di sublimazione alchemica, su un’antica trama la Garesio sviluppa una nuova scrittura seguendo una narrazione femminile in cui si percepisce il rapporto profondo con la Natura in grado di esprimersi simbolicamente nei secoli, con un forte sincretismo, attraverso tutte le religioni e le arti.
Le opere sono il risultato di una matristica memoria e sono legate al mistero gestazionale delle donne, alla ciclicità della vita e alla rinascita che trova origine nelle veneri paleolitiche e si perpetua nel mito come evidenzia Demetra (2015, Fig. 5) o segue la forma sinuosa e femminea dei vasi (2012-2014) oppure viene appuntata su un piatto (2005, Fig. 6) con linee dall’andamento spiraliforme.
Figura 5 Demetra 2015
Figura 6 Piatto Appunti, 2005.
L’artista ci propone poi, sopra un Vassoio (anni 1985-2000, Fig.7) lo spirito vivificante della Natura o della Grande Madre Terra che sorregge, all’interno di un recinto sacro, forme circolari di antichi contenitori tra cui si dipanano flora e fauna, come paradigmi di rigenerazione e fedeltà al principio nutritivo della terra. L’artista arriva all’essenza delle cose, il colore e la forma si trasformano in spazio e superficie e qualsiasi
segno e volume trascende a essenza eidetica. E mentre Clara raccoglie i ricordi, sviluppa una narrazione diacronica che trova giocosamente ordine nel disordine dentro la Scatola delle Meraviglie (2010, Fig. 8).
Figura 7 Vassoio, anni ottanta
Figura 8 Scatola delle Meraviglie, 2010.
L’esposizione ha trovato qui la sua “Casina” e Al chiaro di Luna (2018, Fig. 9) il sole tramonta per dare spazio alla Luna. Dentro un cerchio femmineo che diventa spazio immaginifico e domestico, ritroviamo figure femminili che, come Dervisci Rotanti, paiono danzare su “fiori della vita”, contornate da una
convivialità familiare fatta di piatti, ciotole, tazzine, teiere e caffettiere che non sono più semplici oggetti domestici, ma obbediscono a un’idea.
Al centro, fuori dalla gabbia, la Civetta, animale totem associato alla Dea Madre, annuncia ricoperta d’oro il raggiungimento del Rebis e così l’omaggio a una delle dee madri che ritroviamo in Minerva, dea di questo luogo, è servito e l’artista-donna-ceramista Clara Garesio finalmente si è rivelata.
Figura 9 Al chiaro di Luna, 2018.
L’esposizione inaugura il 7 giugno alle ore 17.00 ed è aperta al pubblico dall’8 giugno fino al 29 settembre 2019, presso Musei di Villa Torlonia, Casina delle Civette, Via Nomentana 70, Roma.
Testo a cura di: Giulia D’Ignazio
Contemporary Italian Ceramic – CiC è il primo blog di ceramica diffuso, con uno sguardo alle tradizioni ma sopratutto alle nuove correnti artistiche del panorama Italiano e non. www.contemporaryitalianceramic.com