Un’ artista creativo non smette mai veramente di fare ricerca, elabora e affina le proprie capacità costantemente, sperimenta nuovi percorsi e nuove soluzioni è in continuo divenire. Una strada vista dall’alto, ci restituisce un compendio più esaustivo di quanto succede, a volte, analizzandolo frammentariamente, così da farci perdere l’unicum dal quale è stato generato.
Anche Luigi Belli fa parte di quel fortunato gruppo di persone che entrano in contatto con il laboratorio ceramico dell’Etruscu Ludens, voluto fortemente da Sebastian Matta a Tarquinia, (già presentato precedentemente nell’articolo del Blog di aprile 2020 riguardo Marco Ferri), essendone infatti la presenza più giovane. L’utopia che vi era alla base di questo laboratorio cercava di allargare i confini e le prospettive di cambiamento per spingere gli attori all’azione, una spinta a tracciare nuovi sentieri, a tentare di conferire un significato descrittivo e simbolico all’opera e a stimolare una riflessione che facesse uscire dallo statico torpore della mente e probabilmente del momento storico artistico. Anche la scelta del nome del laboratorio, non solo conferisce un collegamento identitario con il territorio dove si applica ma fa altresì riferimento ad una riscoperta comportamentale che trova applicazione nell’approcciarsi al mondo attraverso il divertimento. Tutti, compreso Belli, erano invitati a un diverso fare artigianale che in rottura con il passato formale, aggiornasse la tradizione con un senso di libertà e creatività attinto direttamente dalla fantasia immaginativa di ciascuno.
In Divertite Terre, una serie di lavori realizzati nei primi anni duemila, abbiamo la presenza di forme scultoree deformate, compresse, ma sempre equilibrate, che si articolano attraverso moduli; con l’impiego di tagli e intrecci materici si indaga la forma che muta, contorta e ricomposta, ma quasi sempre circoscritta in un confine di matrice geometrica, come lo sarà in Spazi Presi, seppur qui in maniera minore. Una ricerca quindi essenzialmente formale e legata alla cromia e alle forme.
Nel piccolo formato di Spazi Presi è proprio lo spazio ad essere l’elemento portante dell’opera. Il giocare in uno spazio contenuto, un confine, diventa un limite stimolante: piccole scatole, piccoli teatri si ripetono e moltiplicano fino a diventare un inventario immaginario ed infinito nei quali si sedimentano veri e propri elenchi di cose. Una narrazione modulare in cui i ritmi vengono scanditi da forme quadrate che espongono il loro contenuto. E’ una proliferazione infinita, le cose producono altre cose e insieme danno vita al senso. Le cassette sono luoghi di transito aperti verso il mondo, trasparenti e luminose di colore e riflessi che amplificano il rapporto con l’ambiente. Un lavoro concentrato e rinchiuso in uno spazio che è si preso, ma mai claustrofobico.
Divertimento, gioco, piacere, li ritroviamo pure nella serie i Madrigali, grandi e piccoli pallottolieri composti da elementi mobili in ceramica smaltata che scorrono liberamente su guide di acciaio. Il titolo delle opere rimanda a composizioni armoniose e leggere, e le opere sono un vero tripudio gioioso di colori brillanti, un tentativo riuscito di equilibrio strutturale. Si ha a volte la tentazione di toccare i pezzi e di giocarci, farli ruotare, restando incantati a fissare i vortici optical che prendono vita. Una sintesi espressiva che non lascia fraintendimenti sulla qualità tecnica e di linguaggio che si manifesta in maniera seria, modulare, ma che fa i conti con la leggerezza dell’equilibrio ed ha permesso a Belli di superare il problema della staticità.
Quando inizia a lavorare agli ex voto, progetto sempre strettamente legato al territorio dove vive e dal carattere fortemente archeologico, non può immaginare che presto, per un incontro casuale in galleria, dialogherà con le opere di Guido Scarabottolo, iniziando un percorso a quattro mani: mere anatomie composte di apparati circolatori, cervello, occhi, ossa ed altro ancora, membra ricoperte di smalti dai colori brillanti, assorbite dalle suggestioni provenienti dal Giardino dei Tarocchi a Capalbio, giardino che ha incarico di restaurare, diventeranno una serie di lavori raggruppati sotto il nome di Mali Minori ed esposti presso la Chiesa di San Pietro in Valle, a Fano. Viene scardinata ancora una volta l’idea di non avere confini. Dislocati nello spazio e appoggiati sulle lastre di ferro di Scarabottolo, grazie ai magneti, gli ex voto si affrancano dalla pesatezza legata agli aspetti tecnici del materiale utilizzato nei Madrigali. Un’anatomia ricomposta, ripensata, perché spazia tra le infinite possibilità di ricollocazione dei pezzi.
Sebbene Luigi Belli appaia lavorare per cicli a sè stanti, a mio avviso, ognuno di questi è in relazione con l’altro e con la parte intima dell’artista ma anche fortemente in rapporto con le necessità espressive che man mano, nel tempo, mutano diventando altre e più esigenti. È altresì lui stesso in forte relazione con il territorio di appartenenza e il suo luogo di lavoro, isolato, tanto da portarlo a definirsi a volte un “contadino”: come i contadini. anche lui è attento ai cicli della terra, il suo lavorare è strettamente collegato al clima e alla necessità che non piova per poter cuocere le sue opere con un forno a fiamma. Cosi come la semina e il raccolto per il contadino, cosi la cottura per il ceramista ha dei tempi e modi che vanno rispettati per non rendere vano il raccolto.
Se la bella stagione è alle porte ed è sintomo di tempo per le cotture, sono davvero curioso di conoscere in quali altri scandagliati mondi ci porterà Luigi Belli.
Foto Courtesy dell’artista.
Testo tratto da varie fonti e rivisitato a cura di Evandro Gabrieli.
Contemporary Italian Ceramic – CiC è il primo blog di ceramica diffuso, con uno sguardo alle tradizioni ma sopratutto alle nuove correnti artistiche del panorama Italiano e non. www.contemporaryitalianceramic.com