A Treviso, dal 21 aprile fino al 13 maggio, nel suggestivo Chiostro medioevale di San Francesco si possono ammirare le opere dello scultore Piero De Angelis che evidenziano la ricerca di un artista che merita di essere maggiormente conosciuto dal grande pubblico a cui si è per troppo tempo sottratto.
La mostra, patrocinata dall’Assessorato alla Cultura di Treviso, progettata e curata da Giorgio Russi, è accompagnata da un bel catalogo a cura di Lorena Gava che analizza l’opera di De Angelis realizzata in vetroresina e ceramica e rintraccia un fil rouge che accompagna l’intera esposizione tutta sospesa tra l’ esplorazione del mito classico e lo sguardo ammirato degli elementi mitici del contemporaneo
Dalle opere scultoree degli anni ottanta ad oggi, la materia di Piero De Angelis si esprime attraverso l’uso di medium diversi che non cambiano la sostanza perché l’idea creativa rimane sempre legata alla manipolazione plastica della terra che oggi, in questa esposizione, viene esaltata anche dall’arte della terra per eccellenza: la ceramica.
Non è un caso quindi che le sue opere trovano oggi sede nel capoluogo della marca trevigiana che, tra l’altro, diede i natali a uno dei più grandi scultori-ceramisti del novecento: Arturo Martini.
E’ indubbio quindi che questa terra, ricca di storia e artigianato dove l’arte si è spesso accostata all’abilità tecnica, rappresenta il luogo ideale da cui ripartire.
Del resto le sculture di Piero sono il risultato di un percorso di continuità e di stile con cui l’artista si concede sempre a nuovi linguaggi che spingono verso una dialettica tra materia patinata e materia colorata, tra grandiosità espositiva e ridimensionamento intimo, parlandoci di una plasticità che con la ceramica ritrova la sua forma essenziale, circolare e domestica.
Tutte le opere palesano una dicotomia che si manifesta rizomaticamente, in cui collimano suggestioni e immagini provenienti da differenti epoche che passano attraverso le esperienze della classicità, del barocco, dell’art noveau per finire nel sistema moda anni ottanta, filtrate e decantate da una memoria post-moderna che si apre a neo-stili.
Entropia rizomatica:Medusa, 2002
Consapevole di operare in un’epoca fluida e tecnologica, l’artista dimostra, con uno spirito di ricerca verso nuovi mezzi espressivi senza più limiti e confini, di essere al passo con le esigenze della contemporaneità che lo portano ad affrontare in modo personale la grande dimensione, recuperando la parete.
Così Piero De Angelis si spinge verso l’elaborazione bidimensionale di una plasticità in rilievo che, partendo dalla terra, adotta un materiale leggero come supporto finale che possa stare bene sia sulla parete di una casa che di un museo nel convincimento che l’arte debba essere di tutti .
L’approccio ermeneutico consente allo scultore di raccontare una sua verità che rivela le forme della coscienza con frammenti emblematici che come dei flashback creano una struttura narrativa post-moderna e dà allo spettatore la possibilità di dialogare.
Sono racconti a parete che ci autorizzano a riflettere profondamente sull’opera e sulla diramazione orizzontale, rizomatica del tempo che congiunge armonicamente passato e presente.
Dafne e Apollo, 1992
La potenza sprigionata da questi alto-rilievi, appesi come quadri per l’adozione di un nuovo materiale tecnologico, non altera il risultato finale, ma garantisce invece di svincolarsi da un condizionamento di peso e dimensione in cui le opere dimostrano che il saper fareè concepito platonicamente dall’artista, il quale sottolinea attraverso la competenza tecnica , l’unione di arte e conoscenza.
Alla ricerca di un nuovo medium Piero si rivolge così alla ceramica, materiale ritenuto da molti marginale, ma che invece transita da tempo nel territorio della scultura (come fu per Arturo Martini) contribuendo anch’egli a non fare più obsolete distinzioni tra arte maggiore e minore.
Se fin dagli anni ottanta l’artista orienta la sua ricerca e lavora con un materiale anomalo: la vetroresina partendo sempre da una materia primigena: la terra argillosa, oggi è proprio attraverso la manipolazione che emerge la curiosità di chi plasmando sapientemente arriva all’anima dello scultore che modella con le proprie mani votato quasi naturalmente alla ceramica che è arte che plasma e decora la terra.
Così se è vero che “ il discorso continua…”,come ebbi modo di scrivere profeticamente già nel lontano 1989 alla mostra Metope, Triglifi…a Teramo, Piero De Angelis neo-baroccheggiando, con una modellazione dall’andamento dinamico, spiraliforme, circolare, frastagliato e teatrale, rivela con le sue ciotole in ceramica una frammentazione con cui esprime una nuova ricerca e una consapevolezza più matura determinata da uno spirito di araba fenice che ci narra della resilienza indagatrice di un artista che per troppo tempo si è sottratto alla critica e che oggi affida all’arte della terra per eccellenza un messaggio di rinascita.
Di origini picene, l’artista che vive ed ha insegnato a Teramo (nella cui provincia risplende il nome di Castelli uno dei centri più importanti della ceramica italiana) si rivolge e si affida alla sapienza di uno dei maestri della ceramica, Maurizio Carbone che lo introduce dentro la storia e i misteri dell’athanor alchemico castellano.
Così recuperando uno spirito arcaico e utilizzando una forma circolare archetipa (modulo primario degli antichi vasai), realizza ciotole che diventano contenitori di messaggi nella cui forma inclusiva manifesta significati universali che assommando la tradizione e l’ innovazione, il passato e il presente, il maschile e il femminile che sono sia un richiamo orientale ai principi del taoismo, basato sulla dualità degli elementi, opposti e complementari, che il fondamento del pensiero alchemico legato alla ceramica.
Se la frammentazione barocca e la sua scenografica e intensa rappresentazione lo conduce nei luoghi della memoria egli quindi non disdegna di rappresentare anche su ceramica un esotismo post-moderno di forme naturali che guardano alla cultura dell’estremo oriente che dal Liberty in poi sottolinea un fascino mai tramontato nella nostra civiltà occidentale.
Paesaggio in autunno,2017
Le suggestioni mnestiche dei decori del paesaggio e dei fiori castellani tornano così ad impreziosire l’interno di queste ciotole narranti che diventano ceste fitomorfe, ricche di emblematica frutta ormai priva dell’impeto realista caravaggesco, in quanto ormai affidate al territorio dei ricordi.
Natura morta autunnale,2017
Ciotola con ramo di vite, 2017
Attraversamento rizomatico, 2018
Anche in “Attraversamento Rizomatico” riemerge quel racconto di mito e natura, ricco di suggestioni esotiche che mette in evidenza la radice come emblema di un continuum e di una sintesi tra passato e presente. L’evocazione di un concetto spaziale tridimensionale che unisce realtà e immaginazione, natura ed intelletto, lo induce ad andare spazialmente “oltre”. Si, oltre, perché la scelta di Piero di accostarsi alla ceramica e di usare semi-refrattari colorati lo conduce alla scoperta di una plasticità diversa a cui egli può affidare anche il colore che diventa attraverso il fuoco “colore di materia”.
Così lo scultore riesce ad attuare un ulteriore superamento dello spazio-tempo che lo porta ad indagare pontianamente quel “destino della ceramica” che realizza in “creazione simultanea” “una quarta dimensione alla scultura…nella quale forma-materia-colore sono una cosa sola”.
La plastica colorata gli concede, inoltre, di catturare la luce distinguendo un piano dall’altro e di raggiungere attraverso la trasformazione degli elementi la sua rubedo che trova nella ceramica un nuovo linguaggio creativo e una funzione rivelatrice del suo ”dasein” (esserci) che avvia l’artista verso una dimensione poietica da cui si era distaccato negli ultimi anni .
Per cui l’ arte plastica della ceramica non è solo pretesto di rappresentazione, ma diventa necessaria per la sua ricerca espressivae se la scultura classica in epoca post-moderna attrae il pubblico contemporaneo oramai smarrito in una babele di linguaggi a cui può dare conforto anche una rappresentazione di frammenti di certezze e equilibri, De Angelis ripropone anche su ceramica il mito classico a contatto con la natura, toccando un tema caro alla classicità: il rapporto tra l’uomo e l’universo che porta all’incontro tra tradizione e innovazione con cui l’artista riesce magicamente a far rivivere quell’Aura che avvolgendo lo spazio e il tempo è “ qualcosa che unisce dopo aver identificato” ( Lèon Daudet)
Mito e Natura, 2018
Dentro questi contenitori narranti (che accolgono un antico invito a proseguire la ricerca di una nuova plasticità per Castelli ) Piero, riappropriandosi della tradizione barocca dell’istoriato castellano, modella paesaggi fiabeschi, quasi surreali, avvolti da una natura ricca di boschi, di acqua e di argilla che esprimono un equilibrio tra natura ed intelletto, tra perizia artigiana e creazione artistica, tra spirito e materia che si innalza dall’uomo all’universo, “dalle Radici al Cielo”.
Testo a cura di: Giulia D’Ignazio
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