Oltre le bambole Le ceramiche Lenci in mostra a Faenza

“Senza l’Italia Torino sarebbe più o meno la stessa. Ma senza Torino l’Italia sarebbe molto diversa”. È con questa frase di Umberto Eco che si apriva uno dei testi introduttivi al catalogo dell’importante mostra dedicata alle ceramiche Lenci, mostra tenutasi a Palazzo Madama nel non lontanissimo 2010. E con questa stessa frase ci piace iniziare questo testo per una altrettanto importante mostra dedicata alla stessa manifattura attualmente in corso al MIC di Faenza. La Lenci infatti dimostra di essere stata una degli esempi di imprenditoria locale ma con aperture a quanto avveniva contemporaneamente nel resto d’Europa, manifattura che ha animato il panorama produttivo e creativo italiano del periodo tra le due guerre. Lasciando da parte le bambole nel tessuto omonimo, è sulla ceramica che ha affiancato la produzione iniziale che si incentrano le due mostre appena citate.

Passando ad occuparci in particolare della mostra Faentina ci piace iniziare la rassegna dei temi trattati dalla figura di Mario Sturani, dal suo Capotreno del 1927 con un treno ricamato sul colletto della livrea ed un trenino giocattolo che corre sotto le sue ginocchia sollevate. Questa e le figure di ragazzi a cavallo di elefanti e lumache – per non parlare dei giovani che, uno sulle spalle dell’altro, si arrampicano a scalare le stelle – ci offrono alcuni esempi della ricchissima produzione, oltre duemila modelli, che si sono susseguiti fino agli inizi degli anni ’60 ma che trovano un apice di creatività nel periodo compreso tra il 1928 e il ’33.  Sono anni di intensa ricerca artistica che coinvolge le arti maggiori e l’arte applicata che a queste guarda, così come sono vorticose le vicende storiche e politiche che la produzione Lenci e le sue ceramiche d’arredo rispecchiano. E così la città che fa da sfondo al giovane ubriaco dello stesso Sturani  ha tratti chiaramente futuristi con i suoi palazzi obliqui, quasi eco delle aeropitture di quegli stessi anni;

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di tratti tardo Liberty le figure femminili di Giovanni Riva mentre marcatamente Déco sono le figure mitiche di Giovanni Grande e i nudi di Sandro Vacchetti. Ed ecco quasi inavvertitamente introdotto uno dei temi ricorrenti delle ceramiche Lenci, quello della figura femminile che, spesso nuda, offre un pretesto per rispecchiare l’evoluzione sociale e talvolta pure politica dell’epoca. Pienamente calati negli anni appaiono non solo la Marlene Dietrich di Abele Jacopi, ma pure La piccola Italiana

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di Helen Koenig Scavini, moglie del proprietario della manifattura e autrice di alcuni bozzetti alla base di altrettante caratteristiche e felici realizzazioni. Alle campagne coloniali italiane rimanda invece l’Abissina di Sandro Vacchetti, variante più marcatamente realistica tra le realizzazioni che attestano il gusto per l’esotico tipico di quegli anni.

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 In una rassegna, come detto,  forzatamente schematica non possiamo ripercorrere tutte le sezioni della mostra ma rimandare semmai al completo catalogo che, riproducendo fedelmente tutti i pezzi della ricca collezione Ferrero, ne fornisce un valido strumento di studio.

Pur costretti ad omettere molti aspetti non possiamo però non ricordare il concorso di Felice Casorati nell’allestimento della Stanza della prima colazione predisposta da Lenci per la prima Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza del 1923; quello di Claere Burchart, amica di Helen Koenig e già modellista e progettista della manifattura Rosenthal  che porta ad un’apertura chiaramente europea la manifattura torinese. Questi elementi bastano a farci comprendere l’attenzione che la stampa specialistica dell’epoca abbia dedicato alla produzione, nonostante il giudizio non troppo caloroso di Gio’ Ponti, all’epoca gravitante intorno alla Manifattura di Doccia.

Camminando per le sale e sfogliando il relativo catalogo ci imbattiamo poi in scene popolari e religiose, in un raffinato bestiario

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 e in giocose scatole

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 e posacenere, esempi di una produzione che ha offerto stimoli ad imitatori ed epigoni. Ciò spiega le presenza, oltre alle sezioni dedicate a disegnatori e progettisti specifici, di una appendice rivolta alla Manifattura Essevi dello stesso Vacchetti incontrato precedentemente alla Lenci. Una visita alla mostra faentina è così occasione di penetrare con lo sguardo in quegli interni italiani di uno dei decenni più fervidi e creativi della produzione italiana.

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Testo a cura di: Domenico Iaracà


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